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Federalberghi: «Rischio disastro. Il governo non vuole capire»

Il presidente Bocca: «Per avere la decontribuzione devo riassumere tutti. È impossibile»

«L’anno scorso, nel 2019, il settore alberghiero ha fatto circa 21 miliardi di fatturato, quest’anno contiamo di perderne almeno 14 o 15. Arriveremo, come settore, a sei o sette miliardi di fatturato». Le cifre sono impietose, la fotografia di un’Italia dove l’economia non rimbalza affatto, nonostante l’ottimismo del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. A snocciolare questi numeri è Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, che in questa intervista a «Il Tempo» traccia un bilancio di fine estate e parla di cosa dovrebbe fare il governo per venire incontro ad un settore, quello del turismo, in ginocchio. «Il bilancio di questa estate – spiega Bocca – è a macchia di leopardo perché al mare, in montagna e ai laghi hanno perso i mesi di maggio e di giugno ma hanno fatto un luglio e un agosto decenti  o quasi. Si sono salvati, almeno per coprire i costi soprattutto nel mese di agosto. Poi ci sono le città d’arte dove la situazione è drammatica, e lo sarà anche a settembre mese in cui speravamo in un recupero che non si vede. Il mercato americano non c’è, le grandi aziende lavorano in smart working quindi anche il mercato aziendale è inchiodato. Se c’è l’evento si lavora, altrimenti no».
Un esempio?
«Il prossimo weekend, con la mostra del cinema a Venezia, la città è quasi piena. La gente va perché succede qualcosa altrimenti le persone fanno fatica a muoversi».
Quanto valgono in termini economici le città d’arte?
«In termini di valore aggiunto pesano molto, portano il turismo ricco e oggi sono quelle, le faccio l’esempio di Firenze, che stanno al 15% – 20% di occupazione delle camere con il 40% di alberghi aperti».
A settembre cosa succederà?
«Apriranno più alberghi nelle città d’arte perché un albergo chiuso costa. Ma se non ci sono i clienti si rischia il disastro. Vede, abbiamo cercato di spiegare al governo in tutti i modi che il bonus vacanze non sarebbe servito. Che bisognava concentrare i nostri sforzi su chi aveva sofferto di più, le città d’arte appunto. A Villa Medici, a Firenze, il primo albergo del mio gruppo, abbiamo fatto il 21% contro l’80% nel mese di luglio dello scorso anno. Non mi vergogno a dirlo perché son questi i numeri».
E l’occupazione degli sta­gionali?
«Per quanto riguarda gli stagionali, circa 500mila, non credo che quest’anno siano state assunte più di 200mila persone. Anche perché i dipendenti fissi erano in cassa integrazione e se hai gente in cassa integrazione non puoi assumere».
Cosa chiedete al governo?
«Sul decreto agosto avevamo chiesto, andando agli stati generali di Conte, di incentivare gli alberghi a riaprire puntando sulla decontribuzione perché se gli alberghi assumono gente la tolgono dalla cassa integrazione. Solo che hanno scritto una norma per cui o mi riprendo tutti i dipendenti oppure non ho decontribuzione. Capite che in un momento di crisi è impossibile, così non va. Non si ha un’idea di come funzionino le imprese del turismo, non sono come le fabbriche. Un albergo puoi riaprirlo anche parzialmente. Io il 4 settembre riapro il Bernini a Roma che ha 120 camere ma ne riapro 38. Aprendo 38 camere non riprendo tutto il personale in forza. Ma se non togli i contributi, a molti conviene tener chiuso. Io riapro perché a piazza Barberini non sopporto il portone serrato e bisogna provarci. Poi noi non pagando affitto siamo nella condizione di tentare. Ma chi paga gli affitti come fa?».
Gli aiuti dalle banche, a che punto siamo?
«Il Decreto liquidità ha previsto 6 anni per restituire i prestiti: sono pochi. Bisogna allungare i tempi. Un albergo chiuso a me costa 70mila euro al mese. 70mila per 12 fa quasi un milione di euro. Non puoi avere un prestito per sei anni in cui, dopo i due di preammortamento, devi restituire il capitale. Servirebbero almeno 15 anni. In altri Paesi appena cominciata la crisi le imprese hanno ricevuto direttamente i soldi sul conto corrente, a fondo perduto. Da noi niente, hanno messo la cassa integrazione – spesso anticipata dagli imprenditori – e sui prestiti non ne parliamo».
Cosa cambierebbe, se potesse?
«In Italia c’è sempre una burocrazia che rallenta ma in queste crisi serve velocità. Noi abbiamo anticipato due  tre mesi di cassa integrazione, bruciando cassa mentre non lavoravamo. Le banche faticano a finanziare. Così non ci si salva. E poi non è mai stata fatta una graduatoria dei settori più colpiti ma si è scelto di dare un pochino a tutti. Ma una briciola a tutti non risolve il problema e le briciole comunque costano».
Ci salverà il Recovery Fund?
«Sul Recovery abbiamo chiesto al governo di essere consultati per capire cosa metteranno sotto la voce turismo. E siamo in attesa di una risposta».

Massimiliano Lenzi, Il Tempo, 2 settembre 2020
Bernabò Bocca

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Annalisa Gotti

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