Cursano (Confcommercio): «Gli assembramenti continueranno per strada». L’appello: «Aperture garantite ma anche controlli per il rispetto delle regole»
Dai ristoranti ai pub, per tutti chiusura anticipata alle 23. I contagi da Covid continuano a salire e il Governo ha già fatto sapere di essere pronto a un nuovo giro di vite sull’orario dei locali. Ma la sola ipotesi di un ennesimo provvedimento che penalizzi il già massacrato mondo dell’intrattenimento serale, ha fatto saltare su tutte le furie la categoria, a cominciare da Aldo Cursano, presidente vicario della Federazione Italiana Pubblici esercizi (Fipe) di Confcommercio.
Presidente Cursano, per voi sarebbe un altro sacrificio, ma se serve per la salute…
Olga Mugnaini, Qn-il Resto del Carlino, 5 ottobre 2020
«Non è vero che serve alla salute. Per noi è un’ulteriore mazzata e per il contenimento dei contagi sarebbe peggio».
Perché dice questo?
«Perché la gente, e sopratutto i giovani, non andranno comunque a casa alle 11 di sera. Staranno fuori dai locali, lontani da ogni tipo e forma di attenzione, prevenzione e controllo che sono attivati nei nostri bar e ristoranti, dove siamo rigorosi con igienizzazione, distanziamento, gestione dei tavoli e dei menù… Del resto lo vediamo bene cosa succede con la movida notturna in tutte le città, con gli assembramenti dei ragazzi nelle strade, che non rinunceranno certo a stare insieme».
Quindi un provvedimento che rischia di ottenere l’opposto di quello che vorrebbe?
«Certo, perché la nostra categoria ha fatto investimenti per garantire la sicurezza dei lavoratori e soprattutto dei clienti. Quindi, non ha senso impedire la fruizione dei luoghi del tempo libero e del divertimento. Si otterrebbe solo di lasciare la situazione fuori controllo. Guardi, se con la chiusura alle 23 si salva molta parte della ristorazione, si va però a penalizzare, e di fatto a uccidere, tutto quel mondo dello svago che nel nostro paese fa parte dello stile di vita».
E quindi cosa propone?
«Esattamente il contrario: bisogna lasciare aperte le attività e pretendere che siano attrezzate per il rispetto delle regole, fare i controlli e punire chi non rispetta le disposizioni. Ma bisogna capire che il nostro lavoro è far stare bene le persone, non farle ammalare. E quindi ci siamo preparati. Sfido a trovare in Europa un altro Paese che ha messo in piedi un modello come il nostro. Se si chiudono i locali si rischia di lasciare tutto all’improvvisazione e la gente andrà a bere nei club e nei circoli privati. Far chiudere vuol dire rinunciare a governare, lavarsene le mani».
Beh, resta il fatto che i contagi sono in crescita…
«Nessuno dice di abbassare la guardia. Dico però che le misure per contrastare il virus rischiano di uccidere più del virus stesso. Con il lockdown abbiamo perso 50mila imprese nel nostro Paese. Continuare su questa strada significa perdere altri posti di lavoro e buttare a mare l’attività e la vita di sacrifici di tanti altri imprenditori. E’ facile parlare se si ha uno stipendio a fine mese. Al Governo non abbiamo mai chiesto mance o sussidi, ma solo di essere messi in condizione di lavorare».
E ora che cosa chiederete?
«Di smetterla di spostare i problemi sulle attività del pubblico esercizio. Vorremmo solo ricordare alcuni dati: il 50% della nostra forza lavoro è ancora in cassa integrazione o comunque a casa. Che sono già più di 50mila le imprese che hanno chiuso i battenti. E che, secondo gli ultimi dati Istat, i nostri fatturati sono scesi del 64% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Troppo facile richiudere tutto. Noi non siamo disposti a morire di stenti, ad assistere impotenti al fallimento certo delle nostre imprese».